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Diverse immagini di Gesù

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l Pantocrator, cioè l'Onnipotente, famoso anche in Italia per i mosaici di Cefalù e di Monreale (sec. XII), è la figura tradizionale di Gesù solitamente a mezzo busto, con l'aureola in cui è iscritta una croce con le parole greche «ho ôn» (oJ w\n, Colui che è, come in Esodo 3, 14); la destra è in atto di benedire, la sinistra tiene l'Evangeliario chiuso o aperto, con scritte parole opportune del Vangelo. Occupa spesso il centro della volta della cupola maggiore.

Il Salvatore: è simile al Pantocrator, se ne distingue per il contesto e l'espressione del volto. Il libro aperto riporta parole di consolazione, come «Io sono la luce del mondo, ecc.» (Giovanni, 8, 12), oppure: «Venite a me voi tutti che siete affaticati, ecc.» (Matteo., 11, 28). Altre volte la figura è completa, assisa sul trono. In genere la tunica è di colore rosso (il fuoco, simbolo della Divinità), mentre il manto è azzurro (simbolo della natura umana). Invece l'abito è bianco risplendente quando Cristo è rappresentato nella gloria della Trasfigurazione e della Risurrezione.

Cristo Sommo Sacerdote: è rappresentato con le vesti episcopali del rito bizantino, il sákkos (corrisponde alla dalmatica imperiale) e l'omofórion, una fascia bianca segnata da croci (corrisponde al pallio del rito romano, ma è molto più largo e lungo: si avvolge sulle spalle e scende davanti e dietro). L'Evangeliario aperto riporta le parole dell'istituzione dell'Eucaristia: «Prendete, mangiate, questo è il mio Corpo, ecc.». Quando il Cristo Sommo Sacerdote porta anche la corona imperiale (la mitra bizantina è in realtà la corona dell'Imperatore, passata al Patriarca e poi a tutti i Vescovi dopo la fine dell'Impero bizantino) allora l'iscrizione lo caratterizza come «Re dei re e Signore dei signori» (Timoteo, 6, 15; Apocalisse, 19, 16).

La Deisis (Devhsi", supplica), così è chiamata la raffigurazione di Cristo in trono, con alla sua destra la Vergine Maria a lui rivolta con le braccia alzate, curva in atto di supplica, e alla sua sinistra S. Giovanni Battista pure rivolto nello stesso gesto
di supplica. Il Battista (cioè Battezzatore) denominato anche Pródromos, cioè Precursore, è riconoscibile dalla barba a cinque punte, dalla capigliatura incolta e dalle vesti. Talvolta è simbolicamente rappresentato con le ali, essendo riferite a lui le parole di Malachia 3, 1: «Ecco io manderò il mio angelo (cioè messaggero) a preparare la via davanti a me».

Il Volto Santo di Gesù su un velo detto in greco Mandílion (mantile, sudario) è qualificato come achiropíito (ajceiropoivhto"), cioè non fatto da mano d'uomo, ma impresso miracolosamente. L'originale era conservato a Edessa, nella Siria settentrionale (oggi Urfa, in Turchia); per difenderlo da un'incursione di infedeli, era stato murato, coperto da un grande mattone. Quando lo si tolse dal nascondiglio, si trovò che il volto di Gesù si era riprodotto anche sul mattone (detto in greco keramída: mattone, tegola). L'icona, insieme con la keramída, fu trasportata a Costantinopoli nell'anno 944; la festa commemorativa di questo trasporto è celebrata il 16 agosto. Secondo la leggenda il fazzoletto, sul quale Gesù aveva impresso l'immagine del suo volto, fu mandato da Gesù stesso con una lettera al re di Edessa Abgar, che da quella reliquia fu guarito dalla lebbra. Il Mandílion è rappresentato molto spesso, sempre in posizione centrale. Nella fascia inferiore della cupola maggiore nell'interno della chiesa occupa il centro a oriente, mentre dirimpetto ad occidente è ripetuto come Keramída.

L'Emanuele: così è designata l'icona di Gesù fanciullo con riferimento alla profezia di Isaia 7, 14: il figlio della Vergine dovrà essere chiamato Emanuele, cioè «Dio è con noi». È rappresentato con la fronte alta e viso serio, tunica bianca e manto giallo dorato; con la destra benedice, mentre nella sinistra tiene il rotolo della rivelazione.

Gesù Angelo del Grande Consiglio: si riferisce a Isaia 9, 5, come è reso nella versione greca (detta dei LXX): «Un bambino è nato per noi, un figlio è stato dato a noi... ed è chiamato Angelo del Grande Consiglio». È raffigurato come un giovinetto con le ali (l'aureola crociata con l'iscrizione chiarisce che si tratta del Cristo), vestito di bianco, ha le mani alzate a benedire. Solitamente la figura a mezzo busto è racchiusa in un nimbo con intorno i Serafini a sei ali.

Gesù Bambino addormentato (in greco oJ jAnapeswvn), detto anche «L'occhio che non sonnecchia»: il Bambino, di circa tre anni, è sdraiato su un giaciglio rosso, con la guancia appoggiata sulla mano destra; il braccio sinistro è disteso lungo il fianco e la mano sinistra tiene il rotolo. Dorme, ma con gli occhi aperti. Lo veglia la Madonna e un Angelo agita un ripídio (ventaglio su un'asta). Talvolta vi si aggiunge un Angelo che presenta i simboli della passione (croce, lancia, spugna). L'iscrizione commenta il quadro con il testo di Genesi 49, 9: «Si è sdraiato e si è coricato come un leone», inteso in senso messianico, come in Apocalisse 5, 5: «Ha vinto il leone della tribù di Giuda». È anche commentato con le parole del Salmo 120, 4: «Non si addormenterà, non prenderà sonno il Custode d'Israele». Per questo lo si trova dipinto nella lunetta sopra la porta che dall'interno della navata introduce nel nartece.

Il Bambino Agnello di Dio, è un tema eucaristico: il pane che si pone sul disco (o patena) per essere poi portato all'altare e consacrato, si chiama «Agnello»; le preghiere che accompagnano l'atto di ritagliare questo pane ripetono Isaia 53, 7: «Come un agnello fu condotto all'immolazione, ecc.». Il Bambino, parzialmente coperto da un velo rosso, è rappresentato adagiato sul disco liturgico, collocato su un altare quadrato, sotto un baldacchino, tra gli angeli con flabelli (ripídia) e turiboli. Si noti che l'immagine simbolica dell'agnello, nella sua forma di animale, era in uso nell'arte paleocristiana, ma in Oriente fu vietata dal cosiddetto Sinodo in Trullo (Costantinopoli, 691).

L'Epitáfios: icona su stoffa, dipinta o ricamata. Rappresenta Gesù disteso sul lenzuolo funebre, con il solo perizoma; dietro sta la Madre piangente con l'apostolo Giovanni e la Maddalena; ai lati Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo nell'atto di prendere o di posare le estremità del lenzuolo; talvolta sono presenti altre pie donne con sullo sfondo la croce. Il nome Epitáfios sta per jEpitavfio" Qrh'no", cioè «Lamentazione funebre sulla tomba». Si riferisce ad una specie di lamentazione liturgica, detta anche «Enkómia», che fa parte dell'ufficiatura della sera del Venerdì Santo. L'Epitáfios viene dapprima posto sotto un baldacchino e coperto di fiori; alla fine dell'ufficiatura, dopo le «lamentazioni», viene portato in processione e poi deposto sull'altare. La stessa immagine del Cristo disteso per la sepoltura è riprodotta sull'antimensio, simile al corporale del rito latino, ma contenente reliquie e sconsacrato dal vescovo. Si trova sempre ripiegato sull'altare e viene spiegato e disteso al momento dell'offertorio per deporvi il disco col pane e il calice col vino.

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